Lo stato del digitale in Parlamento
L'ho chiesto a Giulia Pastorella, Deputata con un passato nel Tech
Ciao, sono Ale.
Questa edizione di Payload sarà un'intervista. L’ospite è l'On. Giulia Pastorella.
In passato Giulia ha lavorato per giganti tech come HP e Zoom, per poi arrivare al suo attuale ruolo di parlamentare e membro della Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni.
Ho scelto di intervistarla proprio per il suo background, che le consente di parlare al meglio riguardo alla situazione politica e normativa che riguarda il digitale e la cybersecurity in Italia.
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Giulia, tu ora sei membro della Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni che in teoria si occupa anche di digitale. Se ne occupa davvero?
Esatto, sono membro di questa commissione, e devo dire che trovo paradossale che nel suo nome appaia solo l'aspetto telecomunicazioni, perché ovviamente il digitale è un tema molto più ampio.
Io ho scelto questa commissione proprio perché in teoria si dovrebbe occupare di digitale.
In pratica poi mi sono resa conto che il digitale è sparpagliato in tante commissioni diverse.
Per esempio, quando è legato al mondo delle imprese e delle startup, se ne occupa la commissione delle attività produttive, quando è legato al mondo sanitario, rientra nei compiti nella commissione che si occupa di sanità.
A noi rimangono comunque temi importanti, per esempio ora ci stiamo occupando del disegno di legge sull'intelligenza artificiale, quindi una delle tematiche più calde al momento.
E poi ci occupiamo di telecomunicazioni e di connettività in generale, quindi tutto quello che concerne fibra, copertura e satelliti passa anche dalla nostra commissione.
Perciò non mi sono pentita di averla scelta, ma il nome della commissione mi fa sorridere, perché mi sembra rappresentativo riguardo a come approcciamo il digitale in Parlamento.
Quanta consapevolezza c’è in Parlamento riguardo alle sfide della cybersecurity?
Diciamo che la consapevolezza sulla cybersecurity sta aumentando, ma i colleghi che provengono direttamente dal mondo del digitale o del tech sono pochi, e ancora meno dal mondo della cybersecurity.
Ci sono parlamentari interessati a questi temi, che partecipano all'intergruppo Innovazione, ma gli esperti veri e propri sono ancora rari.
C'è una consapevolezza superficiale del fatto che la cybersecurity è un tema importante, ma raramente ho visto proposte concrete.
Spesso se ne parla come di un argomento di tendenza, come l'intelligenza artificiale, ma poi si fatica a capire cosa fare nella pratica.
Il problema principale è che si guarda molto di più agli aspetti politici, come la governance o il ruolo delle varie autorità, piuttosto che a come aiutare le aziende a essere più consapevoli o a trovare le competenze necessarie.
Quando si entra nello specifico, a parlare di come aiutare le aziende sulla cybersecurity, si fa più fatica.
Mi è capitato anche di vedere aziende rimandare investimenti in cybersecurity proprio per timore delle nuove normative, quindi gestire nel migliore dei modi queste questioni di governance è davvero cruciale.
Assolutamente, ne ho avuto una prova provata quando è passato il cosiddetto DL Cyber, che è stata una cosa assurda per chi l'ha seguita.
Era una mezza anticipazione, molto parziale, della NIS 2 che poi è puntualmente arrivata perché era già passata, si trattava solo di implementarla.
Quindi il governo ha voluto mettere il cappello su questo tema con una norma parziale che riguardava solo la pubblica amministrazione e solo le notifiche di incidenti, senza aiutare sul lato della prevenzione, cosa che invece la NIS 2 fa fornendo tutta una serie di principi e criteri da seguire
Quindi il DL Cyber è stata una normativa anticipata e parziale, che ha creato molta confusione perché poi, ripeto, è arrivata la NIS 2 e ha fatto tabula rasa di tutto quello che c'era prima.
Lo stesso sta accadendo con l'intelligenza artificiale: il governo ha fretta di mettere il proprio marchio di fabbrica, con anche aspetti legati all'inasprimento delle pene, cosa che piace molto a questo governo, anche in questo ambito.
Quindi anche a livello governativo, non solo a livello parlamentare, spesso si corre ad anticipare le normative europee in un modo secondo me inutile.
Uno dei grandi problemi sull’intelligenza artificiale è che gli incentivi per portare le aziende a utilizzarla meglio non sono potenziati, mentre è molto potenziata la parte che mette briglie e manette, e dice che cosa si può o non si può fare.
Questo approccio per me è sbagliato. Ostacola l'innovazione e non aiuta a far capire le potenzialità di queste tecnologie.
Infatti anche nel dibattito politico si parla molto più dei rischi e della necessità di regolamentazioni, molto meno delle opportunità.
Quanta consapevolezza c’è in Parlamento riguardo al rapporto tra digitale e geopolitica?
Secondo me, c'è ancora poca consapevolezza dell'intreccio tra il digitale e la geopolitica, e poca consapevolezza riguardo alla cosiddetta guerra fredda tech.
Si fatica a comprendere come le catene del valore globale per quanto riguarda il digitale siano dipendenti dagli equilibri geopolitici, di quanto i blocchi commerciali si stiano polarizzando anche sul tema digitale, creando i propri stack separati.
Di quanto si stia arrivando a una balcanizzazione non solo del mondo online, ma anche offline, quindi delle infrastrutture fisiche critiche.
Ecco, tutto questo si sente molto poco e quindi non c'è neanche la percezione di come lo strumento di regolamentazione possa essere usato in questo contesto per proteggere non solo i cittadini, ma anche le imprese, e per giocare una partita che è sempre più tesa e cattiva a livello internazionale.
Ultima domanda: dato che in passato hai lavorato in aziende tech anche all’estero, come è vista l’Italia nell’ambiente tech internazionale?
L'Italia è vista come un paese che vive di rendita sulle sue forze del passato, portate dai suoi distretti industriali e dal suo patrimonio culturale e turistico, ma che fatica a modernizzarsi.
Non credo sia corretto immaginare, e non lo pensano nemmeno i nostri partner europei, che dobbiamo diventare un paese solo di servizi o di unicorni tech. Sarebbe assurdo e controproducente.
Tuttavia, anche da parte degli imprenditori più illuminati, si sente la necessità di capire come possiamo costruire sulla forza del passato, su ciò che ci ha reso una potenza economica, portandoci nel XXI secolo e non restando indietro.
C'è poi il tema della modernizzazione non solo delle imprese, ma anche delle competenze dei cittadini. È ridicolo spingere tanto sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione se poi ci sono cittadini che non sanno interagire con essa.
Gli indici DESI e altri indici che ci vedono sempre in ritardo toccano tutti questi aspetti, ma non danno soluzioni, fanno solo una fotografia.
E devo aggiungere che dalle stanze del potere non vedo ancora un approccio coerente. Non vedo, per esempio, una strategia nazionale sui dati.
Ci sono le normative europee, Data Governance Act, Data Act, che incentivano l'utilizzo e la condivisione dei dati, ma in Italia i dati prodotti dalle aziende non sono messi a sistema, rimangono nei server, ed è un peccato perché potrebbero essere usati per quel salto di modernizzazione di cui parlavo prima.
Il nostro obiettivo deve essere di non ingessare l'Italia nelle glorie passate, ma di costruire su quelle glorie per un futuro migliore.
È tutto. Ringrazio Giulia Pastorella per il tempo e soprattutto per gli spunti, a mio parere lucidi, che ci ha condiviso.
E ringrazio te per essere arrivato fino a qui nella lettura.
Alla prossima,
Ale
P.S. Sto cercando di costruire un dialogo tra pari, non una newsletter broadcast autoreferenziale. Che ne pensi dell'intervista? Rispondi a questa email che sono davvero interessato al tuo pensiero ;)
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